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Una breve storia del vino

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La storia del vino, uno degli elementi sempre presenti sulle nostre tavole, affonda le radici in un passato molto remoto: circa 6000 anni fa i Sumeri simboleggiavano con una foglia di vite l’esistenza umana...


Dopo di loro, gli Assiri raccontavano nei loro bassorilievi alcune scene di banchetti, rappresentando schiavi che attingevano il vino da grandi crateri e lo servivano ai commensali con delle coppe.

 

 

La storia del vino continua con gli Ebrei. Nell’Antico Testamento il popolo eletto attribuiva a Noè la realizzazione della prima vigna, considerando la vite uno dei beni più preziosi dell’uomo. Nel mondo greco, il vino era protagonista nei famosi banchetti conosciuti come simposi ed era ritenuto un dono degli dei. Tutti i vari miti sono concordi nell’attribuire a Dionisio, figlio di Zeus e Semele, l’introduzione della coltura della vite tra gli uomini. Dionisio fu poi oggetto di culto sia nel mondo etrusco, dove era conosciuto come Fufluns, sia nel mondo romano che, tramite il fenomeno dell’interpretatio romana, lo conobbe come Bacco.

 

Storia del vino: l’origine della viticoltura

La pratica della viticoltura vanta origini molto antiche. Ad esempio, tra i tanti documenti figurati, famosa è la pittura di una tomba tebana datata tra il 1552 ed il 1306 a.C., dove sono raffigurati due contadini che colgono grappoli d’uva da una pergola; una scena interessante poiché da essa si deduce che in Egitto, già nel II millennio a.C., era diffuso il sistema di coltivazione della vite “a pergola” (fig. 1). Nella stessa tomba, altre pitture presentano lavoranti occupati nella pigiatura dell’uva in una grande tinozza, mentre un altro uomo raccoglie il mosto appena spremuto nei recipienti. Nella scena sono presenti anche delle anfore nelle quali veniva versato il vino, una volta terminata la fase di fermentazione.

 

Storia del vino: pitture da una tomba di Tebe

Fig.1: Pitture da una tomba di Tebe

 

Moltissimi erano i vini prodotti nel bacino del Mediterraneo, soprattutto in Italia: rossi, bianchi, secchi, abboccati, leggeri e pesanti, ad alta e bassa gradazione. Per quel che concerne la vinificazione, è testimoniato l’uso di una tecnica molto simile a quella usata fino a poco tempo fa. Questa tecnica prevedeva la raccolta e la pigiatura dei grappoli in ampi bacini, la torchiatura dei raspi e la fermentazione del mosto in recipienti, i quali venivano lasciati aperti fino al termine del processo.
A differenza di tutti gli altri lavori agricoli, la vendemmia era un’attività festosa, che non apparteneva esattamente alla sfera del lavoro quotidiano, ma trasformava la condizione umana e la poneva in contatto con il divino. Proprio per questo motivo, almeno nel mondo greco, la maggior parte delle raffigurazioni riguardanti la produzione del vino ha come protagonista Dionisio e il suo seguito di Menadi e di Satiri, spesso rappresentati mentre riempiono canestri di grappoli d’uva e in altre attività legate alla vendemmia.

 

Storia del vino: al tempo dei Romani

 

Anche nel mondo romano il vino rivestiva un ruolo particolarmente importante. Abbiamo precise informazioni secondo le quali l’uva era raccolta nella lacus vinaria, una grande vasca, dove poi veniva pigiata fino a quando il mosto si separava dalle vinacce. Quest’ultime, una volta affiorate, venivano torchiate e il mosto passava direttamente in una vasca sottostante. In questo secondo recipiente, dove confluiva in seguito anche il mosto derivato dalle vinacce torchiate, si procedeva con la fermentazione “tumultuosa” (così detta per il ribollire del mosto). Passata una settimana, il mosto veniva travasato in grandi doli (grandi contenitori di forma globulare) dove si completava il processo di fermentazione (fig. 2).

 

Cella vinaria con Dolia interrati

Fig.2: Cella vinaria con Dolia interrati

A questo punto si conoscono due tipi di vino: il vinum doliare, cioè quello che veniva consumato o venduto appena limpido, preso direttamente dai doli, e il vinum amphorarium, quello di qualità maggiore. Il vinum amphorarium prima di essere venduto era travasato in grandi anfore, nelle quali esso subiva una serie di trattamenti mirati alla corretta conservazione. Ad esempio, molto comune era la pratica di esporre le anfore al calore e al fumo in locali specifici (fumarium e apothecae), oppure quella di aggiungere al vino l’acqua di mare poiché si pensava che l’acqua salata rendesse il vino più dolce. Molto diffusa era la pratica di addolcire il vino con il miele e profumarlo con cannella, zafferano o petali di rose.

 

 

Le anfore destinate alla vendita del vino venivano sigillate con tappi di sughero e pece o argilla, prima di essere collocate nelle celle vinarie. Le anfore erano recipienti assolutamente idonei per essere accatastati razionalmente sui mezzi di trasporto, in particolar modo sulle navi. Nel mondo antico, specialmente in quello greco e romano, il trasporto marittimo era quello di gran lunga preferito, considerando la lentezza degli spostamenti del traffico terrestre che avveniva tramite carri trainati da buoi o asini.

 

 

 

Storia del vino: un vino diverso per antichi sommelier ed enoteche

 

Sia nel mondo greco sia in quello romano, il vino si beveva mescolato con acqua, data la sua ben più alta gradazione alcolica. Durante i conviti veniva appositamente scelta una persona (simposiarca, magister bibendi o rex convivii) che stabiliva di volta in volta le proporzioni della mescolanza ed il numero e le modalità dei brindisi (antesignano del moderno sommelier). Girando per le strade di Roma, si potevano facilmente incontrare i famosi centri di smercio del vino: le tabernae. Queste erano dei locali che possiamo accomunare alle odierne osterie, vere e proprie mescite dove si poteva vendere e comprare vino al dettaglio. Questi locali erano costituiti da uno o più ambienti, in cui si trovava un bancone nel quale erano murati alcuni grandi orci che servivano a contenere il vino da vendere (fig. 3).

 

Storia del vino: Thermopolium-o-antico-bancone

Fig. 3: Thermopolium da una taberna di Ercolano

 

L’interno delle tabernae era di solito molto semplice ed essenziale, con sgabelli, sedie, tavole e panche in legno. Raramente si potevano osservare delle pitture sulle mura, magari raffiguranti tipiche scene da osteria.

 

 

In questi locali il cibo e il vino erano assolutamente a buon mercato. Insieme al vino venivano servite focacce, formaggi, uova, verdure, legumi e frutta fresca o, dove la qualità della locanda era migliore, si poteva assaggiare anche cacciagione di stagione, pesce, funghi e tartufi.

 

 

I proprietari di queste locande non godevano certamente di un’ottima reputazione. Appartenevano quasi sempre ad una classe sociale disagiata ed erano spesso schiavi emancipati o liberti, quindi individui di origine servile, molti dei quali provenienti dalle province orientali o dalla Grecia.

 

 

Da alcune fonti della letteratura latina, conosciamo una grande varietà di vini prodotti e consumati nel mondo romano. Ad esempio Plinio, nella sua Naturalis Historia, indica più di ottanta tipi di vino in circolazione solamente nella città di Roma. Lo storico ci informa che fu il Falerno il vino preferito da gran parte dei consumatori nell’Urbe. Un altro poeta latino che scrisse a proposito del vino fu Orazio; nei Carmina  nomina il Caleno ed il Cecubo, prodotto a Fondi. Marziale invece, negli Xenia, ci parla del vino Albano. Lo stesso Marziale scrisse un vero e proprio catalogo dei vini all’ora in voga, un elenco ben assortito e di grande valore documentario.

 

 

 

 

(Tommaso Raschiatore, Archeologo)

 

 

 

 

E dopo tanta storia distillata…

 

 Nunc est bibendum


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