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Tannini: cosa sono davvero? Cenni scientifici sul cuore del vino

struttura chimica di un acido tannico

Le varie scuole di analisi sensoriale hanno atteggiamenti non concordanti nella descrizione dei tannini e, a volte, sembra proprio che la confusione regni sovrana.

 

I tannini sono il cuore pulsante del vino, sono alla base del suo affinamento e, quando mal gestiti, del suo invecchiamento ossidativo o riduttivo.

 

Per descrivere bene la tannicità di un vino sono necessari due parametri: uno in riferito all’intensità percepita e l’altro che descriva la forma della percezione, che per traslato diventa forma tannica.

 

La percezione

Dato che non c’è nessuna correlazione fra quantità di tannini e percezione tannica, qualche entusiasta della semplificazione ha iniziato a raccontare che percepiamo i tannini perché reagiscono con le proteine della saliva.

 

Purtroppo inventando queste astruserie si viene meno al principio base della fisiologia sensoriale, che prevede un sensore recettivo come fonte dell’informazione. Dopo poco hanno corretto il tiro e hanno raccontato che i tannini fanno precipitare la saliva e noi percepiamo il conseguente asciugamento delle mucose. Un delirio. La realtà è molto più semplice. I tannini reagiscono con le proteine presenti in bocca, siano esse delle mucose o della saliva.

 

La saliva e l’effetto memoria

Ne consegue che la saliva, essendo deglutibile e perciò variabile, disturba la ripetibilità della percezione. Succede così che chi assaggia vini rossi in batteria giudica sempre meglio il vino che viene dopo uno buono e peggio quello successivo ad un vino con elevata intensità tannica.

 

Questo fenomeno è noto come “effetto memoria” del gusto ed è fonte di aneddoti molto divertenti e di tanti ripensamenti: “però è migliorato”. Ovviamente, il sottoscritto ne è stato vittima e ha dovuto elaborare una strategia di difesa.

 

Alcuni commerciali del vino, incappando in questa problematica, si sono inventati le degustazioni verticali al contrario: partono dal vino più recente e concludono con il più vecchio. In questo modo si nasconde la ruvidezza dei vini più giovani e si dà grinta a quelli più datati.

 

Le mucose

I tannini sono percepiti in modo ripetibile dalle mucose della bocca. Probabilmente attraverso una reazione con le proteine che provoca quella sensazione di allappante ben focalizzabile quando s’ingerisce un carciofo.

 

In questo caso non solo si asciugano le mucose, ma anche lo scorrimento della lingua sul palato superiore diventa difficoltoso.

 

Nel vino i tannini cambiano di forma nel tempo

L’allappante del carciofo persiste a lungo, sistematicamente, solo in alcuni vini come il Sagrantino o il Tannat. Negli altri vini i tannini allappanti della gioventù mutano più o meno rapidamente. Qui trovi alcuni cenni sull’analisi sensoriale dei tannini.

 

Brevissime sulla chimica dei tannini

I tannini, nelle loro forme native e di trasformazione, sono stati il principale argomento della ricerca enologica dagli anni ’90 ai dieci del duemila.

 

Gli studi hanno poi rallentato, non perché fossero esauriti, ma per stanchezza, dubbi crescenti e l’età avanzata delle menti migliori nei migliori centri di studio.

 

I tannini sono presenti sia nelle uve bianche che in quelle rosse

La quantità di tannini in un vino dipende dai parametri di macerazione e pressatura.

 

Nei vini non macerati la concentrazione di tannini è minore, ma mai nulla.

 

Nei vini sono presenti due principali classi di tannini

I tannini dell’uva: costituiti da monomeri di catechine; e i tannini esogeni: aggiunti o derivati da fonti lignee, come ad esempio botti, barrique, tini.

 

I due tipi di tannini non hanno nessun aspetto sensoriale e tecnologico in comune se non ad una valutazione superficialissima.

I tannini dell’uva

Per i tannini dell’uva esistono vari sinonimi. A volte vengono chiamati proantocianidine, per la loro capacità di trasformarsi, in laboratorio, in antociani.

 

In alcuni scritti antichi, riguardanti soprattutto i vini bianchi, sono indicati come catechine, che ne sono le unità monomeriche. Facendo riferimento alle loro capacità reattive vengono chiamati anche tannini condensati o polimerizzati, perché danno vita ad aggregati più grossi reagendo fra loro nei vini bianchi e anche con gli antociani nei vini rossi.

 

I tannini dell’uva rientrano nella più grande famiglia dei tannini condensati, assieme alle procianidine: più note come tannini derivanti dai vinaccioli presenti nell’acino.

 

I tannini esogeni

Comunemente sono denominati tannini ellagici per individuare quei tannini provenienti dall’utilizzo di particolari legni.

 

In realtà i tannini ellagici sono una delle due classi in cui è possibile suddividere i tannini esogeni, ossia non presenti direttamente nell’uva.

 

I tannini ellagici (o ellagitannini) sono solo una sottocategoria dei tannini idrolizzabili (l’idrolisi è quella reazione che scinde delle molecole in presenza di acqua). L’altra sottocategoria è quella dei tannini gallici o gallotannini.

 

Ricapitolando i tannini esogeni idrolizzabili possono essere divisi in: ellagici e gallici.

 

  • I tannini ellagici sono presenti nel legno di quercia (Quercus robur, Quercus petraea e Quercus alba) e di castagno (Castanea sativa) e presentano una colorazione più scura rispetto ai gallotannini, oltre ad essere meno astringenti.
  • I tannini gallici sono estratti soprattutto dalla tara (Caesalpinia spinosa) e dalle noci di galla (Quercus infectoria e Rhus semialata), hanno un colore più chiaro e sono più astringenti.

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